Non giudichiamo e gioiamo per chi torna al Padre
A volte ci sentiamo in diritto di giudicare gli altri, quelli che hanno commesso un reato, quelli che ai nostri occhi si sono macchiati di una colpa. Ma dietro l’angolo, ad aspettarci, troviamo le parole di Paolo: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10, 12).
Nessuno di noi può essere certo di non inciampare, né soprattutto possiamo conoscere la reale situazione di chi sta vivendo la propria personale tragedia prodotta dall’errore, dal peccato. Non siamo noi chiamati a condannare il fratello.
La condanna di chi cade è già nella consapevolezza delle proprie azioni, quando un figlio si fa male da solo, non c’è bisogno che la mamma rincari la dose; anzi, si fa vicino per curare le sue ferite. Forse, siamo noi ad aver bisogno di sentirci rimproverare e punire, così crediamo di sapere che cos’è la giustizia, per poi magari non aver pietà di chi ci fa del male. Vorremmo che Dio facesse così, per poter noi fare allo stesso modo. Invece, Gesù insiste nel dire: perdona settante volte sette; rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori; come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro e così via.
Non è Dio a punirci, siamo noi che a causa del male che compiamo e del conseguente allontanamento da Lui ci infliggiamo il dolore atroce, la sofferenza che ci tormenta, il rimorso che non ci fa dormire.
Non giudichiamo e non saremo giudicati, gioiamo invece per il fratello che torna tra le braccia del Padre perché “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7).